di Lorenzo Marvelli
TERREMOTO. AQUILA. APRILE 2009
VII. LA MORTE E' UNA COSA MORBIDA
un giorno di aprile 2009, Pescara
... Dietro un velo di lagrime, il colore
ritrattosi del sangue, tra le frange
dei capelli un ovale di dolore
e non altro sarai, un viso che piange.
M. Luzi
Un ovale di dolore. Questo era la madre di Mattia mentre lo guardava dicendogli: “Quanto sei bello”
Un ovale di dolore. Mentre mi stringeva le mani chiedendomi: “Salvatelo!”
Ed io le facevo cenno con il capo come e dire “No...”
Un ovale di dolore, la mia impotenza. Ma anche la mia vergogna, la mia colpa: “No...”
Dopo Mattia volato giù, di notte, faccio questo sogno: un uomo dimezzato e senza gambe. Poi i suoi stivali pieni di sangue e distanti, vicino la soglia di una porta. Poi altre gambe disseminate in giro. E sangue sulle mattonelle gialle.
Il padre di Mattia non sta fermo un attimo, io gli vengo incontro correndo con lo zaino. Non parlo, lui parla ma non capisco. Ha il volto pieno di sangue ed anche il collo, la maglia. Vicino a lui il portiere del palazzo dai mille piani costruito per volarci giù. Anche il portiere è pieno di sangue in viso e sulla camicia beidge.
Matteo è sul letto, un letto grande con le lenzuola gialle. C'è sangue intorno. La mamma dice: “Salvatelo!” ed io so che non è più possibile perchè avvicino la mia guancia alla sua bocca e non sento aria.
Impotenza.
La mamma dice: “E' volato, il padre lo ha preso e lo ha portato qui e gli ha soffiato in bocca per farlo respirare. Respira?”
“No...”
Impotenza.
Allineo il corpo di Matteo con dolcezza. Piano. La gamba è floscia, come priva delle ossa. Ancora adesso ho la percezione di quella morbidezza d'arto senza vita e pieno di fratture. Ho davanti agli occhi, i piedini con le calze grige. Divaricati. Morbidi.
Il mio sogno di gambe spezzate e disseminate sul pavimento giallo origina da questo senso di arti nelle mani. La morte è una cosa morbida, una sorta pasta di gomma.
ride se noi diciamo morte, insiste
che tutto deve convertirsi in vita
o in ciò che gli somigli e che proceda,
esprima o risa o lagrime o fastidio,
piccole scorrerie vili o viaggi.
M. Luzi
Non ho avuto neanche il tempo di curvarmi su Matteo tanto era morto.
E non ho riso, non ho pianto.
Ho preso le mani della madre nelle mie ed ho detto: “Ora stai vicino alle bambine perchè loro non capiscono come te e non possono soffrire come te “
Lei annuisce e mi stringe le mani. La curo. Tocco il suo dolore e lo prendo.
Poche ore prima una signora in ambulanza mi aveva stretto forte le mani e le aveva bagnate di pianto: “Ho paura, scusami, ho molta paura....”
Ho preso le sue lacrime ma ne sono rimasto scocciato, le ho trovate esagerate, forse un po' schifose. Ho guardato la dottoressa che mi sedeva davanti e le ho fatto una smorfia come a dire: “Cazzo vuole questa qui”.
Mi è sembrato alludessimo a qualcosa di sessuale. Io e la dottoressa ci siamo guardatri come ci si guarda prima di essere sconci.
Come per una sorta di nemesi, qualche ora dopo, le mie mani si bagnavano ancora di pianto di una madre, soffocando la mia stupidità. Tutte le madri sono uguali. Tutti gli stupidi sono uguali.
Capita spesso di sentirmi in colpa di fronte alla morte degli altri. Penso di averne una parte di responsabilità. Per questo guardo la gente che piange intorno e cerco con tutto me stesso di rubare loro il dolore. Per liberarli.
Una volta ho pensato: in un attimo vorrei patire tutto il dolore del mondo per liberalo. Un solo urlo, uno sforzo incredibile ma necessario. Io lo farei, sai?
Penso di essere così forte da poter sopportare per un attimo tutto il dolore del mondo.
Una infermiera volontaria ha tagliato il piagiama di Matteo sul davanti con le forbici. Un atto dovuto, è nei protocolli di intervento alla voce: “Scoprire il torace all'infortunato”.
Questo gesto, seppur corretto nella forma, mi ha dato un fastidio incredibile. Per questo ho chiesto un lenzuolo ed ho coperto il corpo di Matteo. Ma non il viso. Non so perchè ma ho creduto di lasciare il volto di Matteo lì, scoperto, perchè sua madre lo bacaiasse.
E lo ha baciato molto: “Quanto sei bello...”
Impotenza.
Oggi pomeriggio ho portato il mio cane a spasso sulla spiaggia e sono passato sotto casa di Matteo.
Matteo abitava di fronte al mare. Al dodicesimo piano di un palazzo terrificante e costruito perchè la gente ci voli giù.
Non so perchè sono passato lì a guradare. Ma l'ho fatto. Come un assassino che torna sul luogo del delitto.
Forse lo farò ancora. Qualche volta. Tante volte. E guarderò la pensilina dove Matteo è piombato dopo il volo. Nella speranza di salvarlo. Nella speranza di evitargli il male.
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