di Pina Piccolo
Se ci sforziamo di scavare sotto l’impostazione vendetta/giustizia o legalità/illegalità che è stata ampiamente adottata dai media di tutto il mondo e dall’intera gamma di giornalisti da destra a sinistra a quest’ultima puntata della saga Osama bin Laden ambientata sul territorio pakistano, e ci poniamo invece dal punto di vista di chi riceve la notizia incontriamo un concetto ontologico ampiamente sfruttato dalla letteratura e dal cinema, cioè “la sospensione volontaria dell’incredulità”. Nelle loro distopie scrittori importanti come Orwell hanno esplorato i metodi di comunicazione come il “double speak” che caratterizzano chi porge la notizia ma non si è dedicata altrettanta attenzione ai meccanismi necessari non solo per accettare il falso ma anche per fruirlo con piacere. L’analogia che viene in mente è il mondo del “professional wrestling” : lo spettatore “sorvola” sull’impossibilità che i due lottatori che si presentano come feroci energumeni , s’insultano a vicenda e lanciano o abbattono l’avversario fragorosamente sul ring possano mai uscirne indenni e continuare la loro carriera per decenni senza spaccarsi le ossa. Si fa finta di non sapere che la regia ha già deciso quale dei due contendenti vincerà e il pubblico si divide parteggiando con grande clamore per ciascuno di essi, a New York si stappano bottiglie di champagne in Medio Oriente la presunta superstite al Qaeda inneggia alla vendetta contro la vendetta. All’audience mondiale viene propinato un minestrone di versioni contrastanti, a bin Laden viene attribuita l’intera gamma di perfidia che va dall’uso di mogli come scudo, a computer non criptati che contengono piani per attaccare le ferrovie americane, alla visione di materiali pornografici e non ultimo a un alto grado di narcisismo, che lo vede (di profilo e con l’orecchio ben diverso da quello dell’aspirante Califfo), ormai vecchietto con le spalle ricurve avvolte in una coperta impugnare il telecomando per fare lo zapping di un video di sé stesso. Alle forze del Bene viene invece tributata l’intera gamma della positività che va da coraggio, astuzia, superiorità tecnologica e prestanza fisica (ben lungi dalla decrepita vecchiaia di Osama i Navy SEALS sono l’immagine vivente di un corpo tonico ed allenato). Ma mentre sullo schermo scorre questo telefilm, per le strade del Pakistan e dell’Afghanistan scorre il sangue anche fin troppo reale di centinaia di persone, come aveva anticipato lo scrittore Mohsin Hamid in un’intervista al Guardian il giorno dopo l’assassinio http://www.guardian.co.uk/commentisfree/2011/may/02/pakistan-osama-bin-laden-death. E sono pochi i giornalisti che si interrogano sul perché sia stato scelto proprio questo momento per portare a termine questa missione, ad andare oltre le speculazioni di eventuali convenienze elettorali e porsi la domanda di quali possano essere le conseguenze del cambiamento di paradigma sottinteso nelle attuali sollevazioni in Africa e Medio Oriente che potrebbero rendere necessario un eclatante ripristino dello “scontro di civiltà”.
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