Fiuggi,
Terme Bonifacio - dal 2 al 30 aprile 2016
di
Giovanni Stella
Ama
l’azzardo Roberta Serenari, ma non l’azzardo dell’ infinita trasgressione
coatta che del gesto distruttivo fa mestiere, in danno della più riconosciuta
categoria dello spirito che è l’arte. Il rischio, che lucidamente corre
l’artista, sta nel confronto temerario con il patrimonio sontuoso da “siglo de
oro” che nel versante iconico della pittura ha toccato vertici di strabiliante
eleganza formale e di pensiero forte, tali da segnare la civiltà occidentale.
Da
questo enorme deposito di immagini che hanno segnato il nostro immaginario,
Roberta Serenari ha tratto una grande lezione, secondo cui la vera, grande
pittura, pur nei termini di una rappresentazione della realtà riconoscibile, è
astratta, metafisica, nel senso che indaga e rende visibile l’invisibile, la
realtà sottostante, l’oltrerealtà.
L’artista
vanta un’amicizia con l’antico, non la sua ripetizione nel viaggio ch’essa
compie intorno alle esili, fiabesche fanciulle in fiore, come potrebbe apparire
a una svagata lettura del suo teatro di figura in interni scenografici.
Dell’antico fa suo il piacere della narrazione che nella sua opera non è
narrazione di quotidiane storie di superficie.
Il
magistero della sua arte è funzionale al disvelamento di essenze immateriali
inafferrabili: la percezione del silenzio, la sospensione metafisica di
immaginarie prospettive e vaghe e misteriose “reveries” che possono accadere o
non accadere, la fluidità del tempo e il suo attraversamento, a ritroso, verso
le sorgenti della vita e, in avanti, verso lo “scolorar del sembiante”.
Il
ricorrente tema della fanciullezza, che volge verso l’adolescenza, induce a
cogliere la componente autobiografica, sempre presente in ogni opera d’arte. Ma
l’artista non ne fa motivo di rispecchiamento autoreferenziale, narcisistico.
Lo scandaglio di questo momento magico della vita che ci appartiene non diventa
“metastasi dell’Ego”, una delle minacce, secondo Edgar Morin, per gli esseri
umani. Il Narciso che abita l’interiorità di Roberta Serenari gioca una partita
aperta, vissuta come avventura dell’intelletto che muove verso una più libera
relazione con tutti noi, partendo dal crocevia dell’incantata fanciullezza
adolescente, snodo dello stare al mondo.
Lo
scenario di questo snodo della vita è un interno luminoso e silenzioso,
nonostante l’effrazione dello spazio generata dalla molteplicità di oggetti di
valenza simbolica, un interno di fredda essenzialità scenografica che richiama
il teatro di Strehler. Lì si sviluppa il gioco delle fanciulle in fiore sulla
scacchiera della vita aperta prospetticamente ad altra vita, in un oltre, cui
esse tendono, lievitando, in“Castelli in aria”, o declinando i giorni
dell’attesa, in“Rosa rosae”, o puntando mente e cuore affatturati, nello spazio
dilatato, in “Ascoltando l’incantesimo”, o vivendo un fremito edipico , in“Caro
papà”.
La
componente ludica è fondamentale nell’opera di Roberta Serenari, perché nel
gioco, la più elementare forma del conoscere, le protagoniste della narrazione,
categoria propria ed esclusiva della specie umana, attivano, in atmosfere
rarefatte, le figure simboliche del loro mondo poetico, cariche di rimandi alle
stazioni del viaggio fantastico, tra realtà e irrealtà, verso la terra di
Alice. In questo viaggio tutto può accadere nella traiettoria fatta di memoria
e divinazione dell’indefinito futuro e davanti allo specchio sfaccettato che
risponde alle interrogazioni accorate delle esili adolescenti, moltiplicando le
vie di fuga verso l’altrove che non sempre risponde alle attese, come sembra
dire, in“Confiteor”, il ritratto di donna matura e delusa, sul punto di
verificare che i conti non tornano.
Nulla
è affidato al caso. La comunicazione delle protagoniste del racconto favoloso
attinge al linguaggio del corpo: sguardo, soprattutto lo sguardo, interagente
con lo spettatore, postura e gesti propri di quella terra di mezzo che sono
chiamate a rappresentare con abiti di scena sfarzosi, di serica eleganza, tra
manichini di memoria dechirichiana, scodelle casoratiane frantumate, alludenti,
forse, a sogni precipitati nel vuoto, ed altre, ancora intatte, pronte alla
sostituzione, in funzione del cibo del corpo e dell’anima, ché il viaggio è
lungo, e le uova, infine, emblema della perfezione, rubate a Piero della
Francesca, a significare la colta ascendenza della pittura di Roberta Serenari.
La
sua pittura di figura è il risultato della straordinaria capacità tecnica che
l’artista bolognese possiede in sommo grado, fino a definire una identità
segnica che trova il suo approdo distintivo nell’arte, oggi negletta, del
ritratto, fondato sul disegno accurato, sullo scandaglio psicologico e su una
sensibilità coloristica non comune, di cui ha superba consapevolezza.
Di
questa componente, il colore, non trascurabile nella pittura, in generale, e
nello specifico dell’opera di Roberta Serenari, in particolare, occorre dire
che come il colore seppia connota le immagini di esistenze affrancate dalle
razzie del tempo, e per sempre consegnate alla memoria di chi le ha amate, così
qualità, preziosità e tonalità del colore , di cui sono intrisi milieu e figure
della Serenari, rimandano alla nostalgia del sogno e “des neiges d’antan”. In
breve, il colore significante.
E’
di tutta evidenza la sua adesione convinta, dopo l’abbuffata di avventure
linguistiche radicali e distruttive, a un ritorno all’ordine che non sia pura e
semplice arte mimetica, come non lo è la grande pittura figurativa dell’arte
classica, riscontrata e rivisitata dagli artisti aderenti alla corrente di
Valori Plastici del terzo decennio del secolo breve e, nella seconda metà dello
stesso secolo, da Balthus autodefinitosi l’ultimo pittore figurativo. Poi, a
suo dire, il disastro.
Dell’accostamento
che si è fatto della pittura della Serenari all’opera di Balthus sarà bene
precisare che il riferimento è pertinente solo per il tema dominante delle
adolescenti che, però, nell’opera della Serenari sono oggetto di mitizzazione
di un momento irripetibile della vita, nel quale Eros entra come preannuncio di
futuro turbamento, generatore di vita, mentre nell’opera di Balthus le
adolescenti, figlie di Eros “dolceamara invincibile belva”, sono portatrici di
turbamento in atto.
E
tuttavia non manca nell’opera della Serenari una carica erotica d’altra natura,
d’altro segno che si appalesa nell’accesa sensualità barocca del colore delle
vesti, nei rossi infuocati delle rose in “Specchio delle mie brame” o
nell’offerta maliziosa di rose violette in “Futura” o nel languido ritratto con
rose rosse, “Omaggio a Matilde di Canossa”.
Affascina,
infine, con l’eleganza e la grazia delle posture dell’attesa, la politezza
dell’esecuzione magistrale. Affascina il virtuosismo che diventa sfida, nel
tempo della rimozione della bellezza, a una parte di contemporaneità che
difetto di mestiere e di forma “fé licito in sua legge, per tòrre il biasmo in
che era condotta”.
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